Giuliana Nuvoli, “Anna Carena. L’anima popolare di Milano”, in www.vitaminevaganti.com, n. 237
ANNA CARENA. L’ANIMA POPOLARE DI MILANO
Milano ha dato i natali ad attrici straordinarie: Franca Valeri, Valentina Cortese, Adriana Asti, Lucia Bosé, Mariangela Melato, Lella Costa… ma nessuna di loro ha incarnato l’anima popolare di Milano, quella più vera e antica, come Anna Carena.
Anna Carena, nome d’arte di Giuseppina Galimberti, nasce a Milano il 30 gennaio 1899 e, ancora adolescente, nel 1914, debutta in teatro nella Compagnia di Annibale Betrone. La scuola è di alto livello: Betrone aveva lavorato con Ermete Novelli sino al 1908, poi con Virgilio Talli, dal 1909 al 1921, e aveva dato vita a una formidabile triade di attori con Maria Melato e Alberto Giovannini. Anna è in seconda linea: ma è giovane e impara.
Lasciato Betrone, Anna entra nella compagnia Palmarini-Campa, dove recitano attori di notevole calibro come Antonio Gandusio, Giuseppe Porelli, Franca Dominici, Sarah Ferrati e Stefano Sibaldi. Alla fine degli anni Venti è prima attrice con Leo Garavaglia e Franco Schirato che, a Milano, torna in palcoscenico con Gualtiero Tumiati; siamo alle radici nobili dell’attuale teatro milanese: Tumiati, dal 1940, dirige l’Accademia dei filodrammatici di Milano e ha come allievi Giorgio Strehler e Paolo Grassi.
Lombi nobili, dunque, per Anna che è prima attrice nel teatro dialettale milanese Il Principe. Quando, nel 1932, Schirato va a Roma per occuparsi di doppiaggio, Anna fonda una propria compagnia, sempre di prosa lombarda, e rappresenta, fra gli altri (1935), One famiglia de cilapponi, testo inedito di Carlo Dossi e Luigi Perelli. La commedia è uno dei pochi lavori per teatro scritti direttamente da Dossi in dialetto milanese, in contrapposizione all’ampollosa prosa “manzoniana” di moda in quegli anni. La trama ruota intorno alle vicende della famiglia Matriggiani, definita una famiglia di cilapponi (persone fatue, sprovvedute e superficiali). Legati ai loro quarti di nobiltà e a quello che per loro rappresenta l’aristocrazia, ma ormai ridotti sul lastrico, sono convinti che a un nobile non si debba chiedere né di lavorare né di studiare. Dossi è magistrale nel disegnare la protagonista femminile, donna Barbara (che ad esempio dice imitando il francese «…on collier d’emorroid sul seno» al posto di usare il francesismo émerauds, smeraldi). Questo personaggio, che perfettamente si adatta alle qualità istrioniche di Anna, rappresenta forse il modello più compiuto della borghese spiantata e piena di boria di Miracolo a Milano.
Versatile e curiosa, Anna si cimenta lo stesso anno nella prosa radiofonica dell’EIAR, con Benedetta fra gli uomini, di Gian Capo e, poco dopo, si occupa di teatro delle marionette al Caffè Campari. Ma non basta. È anche autrice di testi teatrali: Tre colpi di rivoltella, Le sorelle, Isaia da Milano riduzione dialettale di un dramma di Andrea Vallardi. Non sono anni facili: il regime fascista impone la fine del teatro dialettale. Il dialetto viene tollerato solo quando serve per propagandare i “valori” e i modelli del regime: e Anna non è tra questi. Così si allontana dalle scene: vi tornerà nel dopoguerra accanto ad Annibale Ninchi.
Ma lei è un’attrice, e il richiamo del cinema è forte. L’esordio avviene in Piccolo mondo antico (1941) di Mario Soldati, dove ha la parte di Carlotta, la cameriera della marchesa: è il primo di una lunga serie di ruoli da caratterista in ventitre film fra il 1941 e il 1955. È la maestra sulla corriera in Quattro passi fra le nuvole (Blasetti, 1942), la piccolo borghese Argìa ne Il mulino del Po (Lattuada, 1948), Marta, la donna altezzosa in Miracolo a Milano (Vittorio De Sica, 1951), l’affittacamere ne Il cappotto (Lattuada, 1952), la contessa Gerza in Cafè Chantant (Mastrocinque, 1954), la portinaia ne L’ultimo amante (Mattoli, 1955).
Per alcuni anni sembra abbandonare il cinema per la RAI: è Pierina in Una mattina di sole (Gagliardelli, 1957), poi recita ne La borsetta (Molinari, 1957) e ne L’altro uomo di Franco Enna (1959).
Torna al cinema pochi anni dopo, con grandi registri: Elio Petri (Il maestro di Vigevano, 1963); Vittorio De Sica (I girasoli, 1970); Dino Risi (La moglie del prete, 1970); Alberto Lattuada (Bianco, rosso e…, 1972). In questi anni non la ignora neppure la televisione: da ricordare le miniserie L’idiota, le due versioni di Piccolo mondo antico, Camilla.
A Milano ci sono molte cose da fare, e di varia natura. Così diversifica la sua conoscenza del teatro partecipando ad allestimenti di Luchino Visconti (La monaca di Monza di Testori) e di Giorgio Strehler (L’anima buona di Sezuan di Brecht). Nata quando il XIX secolo si stava congedando, Anna Carena attraversa con solida forza quasi tutto il Novecento: si spenge il 15 aprile 1988 nella città che non si dimentica di lei.
Un rettangolo verde, in Via Camillo Golgi, 36 – all’angolo con via Bernardo Ugo Secondo – da martedì 20 giugno 2023 ha un nome: Anna Carena. Attrice 1899-1988, inciso in una piccola lastra di marmo, da quel giorno compagna di un ulivo bicentenario, che non voleva più essere solo. Il vero protagonista dell’inaugurazione, più delle istituzioni, fu quel lembo risicato di verde dove Marta, la signora altezzosa, ebbe la sua “casa”: perché proprio qui venne allestita la baraccopoli di Miracolo a Milano. È un giardino “dell’amicizia e della pace”, la cifra che ha sempre segnato la vita di Anna, come emerge con chiarezza dalla sua recensione al film, pubblicata sull’“L’Illustrazione Ticinese” il 17 febbraio 1951, pochi giorni dopo l’uscita di Miracolo a Milano nelle sale.
È un pezzo ispirato alla speranza, dove una giustizia superiore, quella divina, premierà i reietti e gli emarginati… Saranno i poveri a salire sempre più in altro, anche a cavallo di povere scope, lasciando a terra le avidità, gli egoismi, i conflitti, le miserie dei cuori insensibili. La prosa di Anna è rapida, veloce, efficace:
«Un villaggio di gente povera, buona, indifesa. Ci basta una capanna per vivere e dormire, ci basta un po’ di terra per vivere e morire». È la canzone che accompagna, con il suo ritmo fra lieto e rassegnato il film, «quegli uomini avranno sempre intorno a essi, sopra di essi la giustizia suprema che li porterà, premiandoli, lassù dove la signora Lolotta è già arrivata, da dove li segue e li aiuta. E vani saranno gli sforzi degli egoismi terreni tesi a soffocare i sogni e le aspirazioni dei più umili perché le strade rimangano libere soltanto per il passaggio dell’arrivismo sfruttatore». Ovunque, per tutto il film è poesia, è canto: ovunque è il segno di una nobiltà artistica non facilmente raggiungibile, di un palpito d’ala che tende alle vette più alte, che freme e fa fremere, di una invocazione alla più comprensiva solidarietà umana in questo tragico timore di nuove guerre. L’ulivo bicentenario, quel 20 giugno, sorrideva felice all’allontanarsi delle uniformi, delle fasce tricolori, delle cineprese; e la piccola lastra di marmo col nome di Anna gli rispondeva con un altro tenero sorriso. Si ricordavano entrambi del volo delle scope verso il cielo, e la facilità – per i puri di cuore – di sognare. Era il posto giusto per Anna Carena, la sua vera “casa”: nel cuore di Milano, piccolo, quasi nascosto, con un continuo via vai di studenti, di giovani, di speranze.